mercoledì 27 dicembre 2023

Qualcuno ha capito "P.E.S." Dei Club Dogo?

 














Ci sono brani che, per quanto banali, frivoli, spensierati, necessitano comunque di una certa comprensione, in quanto nel loro essere sempliciotte, contengono più chiavi di lettura e più livelli interpretativi.

Uno di questi può essere P.E.S. Dei Club Dogo, la loro hit del 2012, divenuta una canzone destinata a “mainstreamizzare” il trio milanese, e che al contempo ha attirato a sé parecchio hating per le sonorità decisamente più catchy e che strizzano parecchio l’occhio ai suoni nazionalpopolari. Eppure, se ci si sofferma a leggere bene il testo, gli argomenti erano, per la discografia dell’epoca, tutt’altro che “puliti” e “nazionalpopolari”.

 

Alcuni passaggi del testo.

Per poter spiegare il perché delle righe precedenti, bisogna partire proprio dal testo, fortemente criticato per la sua vuotezza.

Già il ritornello potrebbe parlare da solo: “sto lontano dallo stress / fumo un po’ e dopo gioco a P.E.S. / pato, mexes, Messi, valdez / fumo un po’ e dopo gioco a P.E.S. / accendo e dico oh yes / fumo un po’ e dopo gioco a P.E.S. / se mi riprendo oh-oh-oh yes / fumo un po’ e dopo gioco a P.E.S.”. Qui potrebbe iniziare e finire tutto: un momento di chilling e di relax passato a giocare a P.E.S. E a fumare. Sì, ma a fumare cosa?

A togliere ogni dubbio (ma solo a chi sa leggere tra le righe) ci pensano Jake e Gué nelle loro strofe, i quali, oltre a citare calciatori noti, quali Neymar, e console e videogiochi calcistici, quali PlayStation e X-Box, compiono giochi di parole e riferimenti camuffati al mondo delle droghe.

“Oggi voglio stare sul divano collassato” è l’incipit della strofa di Jake, che prosegue con “crossami la palla che rovescio”, facendo un parallelismo tra il pallone da calcio e la pallina di hashish. Anche la rovesciata prosegue con questo double entendre: se da un lato la rovesciata indica la famosa skill calcistica, dall’altro la rovesciata potrebbe: 1. Essere un modo per dire di essersi stonato dopo aver fumato troppo; 2. Essere un riferimento all’atto di rollare e chiudere uno spinello.

La menzione più diretta alla marijuana arriva alla metà della prima strofa, quando Jake rappa “tanto qui c’è birra e weeda, l’antidolorifico per la / partita”. Questa correlazione tra droghe e partite di calcio fu Jake stesso ad averla già fatta in Ragazzi fuori: “tutti come calciatori infortunati / escono in barella, tutti anestetizzati”, contenente il riferimento al fatto che alcune sostanze stupefacenti (si veda la cocaina) siano in grado di annullare la sensibilità fisica delle parti del corpo. Nel caso specifico della cocaina, ad esempio, chi la assume sniffandola perde la sensibilità della faccia.

Anche nella strofa di Gué son presenti riferimenti al mondo “4:20”: “slego il polso, occhio rosso, passo”, in cui ancora una volta il passaggio non è il passaggio della palla sul campo da calcio, ma anche quello di uno spinello da una persona ad un’altra.

 

Club Dogo: dalla gente per la gente.

In tanti furono ad accusare i Dogo di essersi venduti ed imborghesiti proprio dopo il successo del 2012 di P.E.S.. Eppure, P.E.S. Stessa, per quanto hit radiofonica e nazionalpopolare, aveva al centro un tema che riguardasse la gente comune: il chilling davanti alla PlayStation (o, come visto in queste righe, un momento in cui ci si rilassa consumando erba).

Anche durante il periodo promozionale di Noi siamo il Club, il trio, parlando del loro singolo di punta, commentava dicendo: “si tratta di una cosa che fanno molti ragazzi, e talvolta anche ragazze”, senza mai fare specifica e diretta allusione ad alcunché, quasi a voler celare il (praticamente palese) doppio senso del brano, al di là del videogioco riportato anche nel titolo.

Nella prima metà della strofa di Gué, a proposito di gente comune, è proprio a questi ultimi che rivolge un pensiero: “la g, la u, la è nel posto, senti come suona / dedicato a chi ha il diploma eppure non lavora / dedicato ai miei fratelli coi lavori strani / tipo che iniziano la sera fino all’indomani / per comprare nuove Nike e giochi della play”. “Dalla gente per la gente”, rappavano nel 2010, e nel 2012 le cose non potevano certo essere diverse. Ed è forse per questo che la riuscita di P.E.S. È stata così dirompente, in quanto semplice per il grande pubblico e senza particolari sovrastrutture, unite naturalmente ad un ritornello ed una melodia entrambe catchy.

 

Maria Giovanna.

Come già detto a inizio articolo, P.E.S. Nasconde nel suo sottotesto un continuo riferimento all’arcinota “Maria Giovanna” a cui in tanti e in tante epoche han dedicato canzoni, spesso camuffandone il nome.

Dalla Maria degli Articolo 31 fino alla Maria Salvador di J-Ax, citando ancora La mia signorina di Neffa, per arrivare fino alla più recente Bruno di Quentin40, in cui a essere il protagonista è il fumo, ovvero la controparte maschile, ma ben mascherato comunque dietro falso nome (o dietro nome gergale). Tra tutte, forse P.E.S. È quella meno esplicita, sebbene di riferimenti alla marijuana ce ne siano tante, come si è visto.

Voi ve ne eravate accorti di tutti questi riferimenti?

domenica 24 dicembre 2023

“Mary”: le nostre memorie.

Le memorie di Pietro.

Primavera 2022. Ero in Toscana da mia sorella, e mentre guardavamo la tv uscirono in televisione i Gemelli Diversi. Proprio parlando con mia sorella, lei mi confessò essere uno dei suoi gruppi preferiti durante la sua adolescenza, e ciò mi scaldò molto il cuore. I Gemelli riportano alla mente i momenti di vita passati nella nostra amata Trieste.

Quando il giorno del mio compleanno dello stesso anno mi ritrovai ad assistere al Coca-Cola Summer festival, vidi anche l’esibizione dei Gemelli Diversi, dove cantarono alcune canzoni del loro repertorio degne di nota. Sebbene non ci prestai molta attenzione preso dal cazzeggio coi miei amici, solo in un secondo momento mi imbattei, in seguito ad una ricerca, in Mary. La canzone mi colpì subito, mi piacque e mi commosse al contempo, per via della tematica, quella di una ragazzina abusata sessualmente dal padre. Nelle rime trasuda il bisogno di sfogarsi e di restituire all’ascoltatore uno spaccato di vita di quelli che (purtroppo) si verificano nella nostra società.

Pertanto potrei dire che, se da una parte i Gemelli Diversi rappresentano la gioia e la spensieratezza dell’infanzia triestina, dall’altra, con questa canzone, la mia preferita loro, han rappresentato l’adolescenza di tanti giovani sporcati e privati della loro purezza per mano di un mostro, che talvolta si cela dietro la maschera di un familiare.

 

Le memorie di Amedeo.

Quando nel 2010/2011 stavo scoprendo il rap dal primo computer della mia cameretta, mi imbattei, tra gli altri, anche nei Gemelli Diversi, che iniziai a seguire proprio da all’epoca. Il loro primo disco che comprai fu Senza fine – 98-09 (the greatest hits). Mentre la tracklist scorreva, partì Mary, che mi colpì per la crudezza delle scene che gli artisti rappresentavano in rima.

Dopo aver suonato con Pietro in questa sorta di Carpool karaoke dei poveri prima Risiko e poi il mashup tra Nessuno e Down by the river, ci venne spontaneo puntare su questa canzone dei Gemelli Diversi: Mary, per l’appunto, a cui entrambi abbiamo legato ricordi di vita diversi, ma ugualmente intensi, entrambi relativi alla nostra infanzia ed adolescenza. La proposta venne da Pietro, ma la appoggiai da subito di buon grado anche io. E questo è il risultato finale, frutto di un’ora di cazzeggio, di risate, di flop e di gaffe una dopo l’altra durante la registrazione del video.

“Mary” dei Gemelli Diversi non è una canzone realizzata a tavolino.

Chi dice che i Gemelli Diversi sono / sono stati un gruppo musicale pop leggero, forse di loro non ha capito poi molto. Per quanto possano essere diventati un gruppo riconosciuto a livello nazionale, i temi che trattavano rimanevano temi alquanto scottanti, spinosi.

Un esempio palese è la canzone Mary, in cui gli artisti narrano di un caso di violenza sessuale commessa da un padre ai danni della figlia, la quale si mette in fuga, correndo lontano dalla sua vecchia vita, in cerca di una rinascita.

Se Thema nella prima strofa inizia a parlare degli “abusi osceni del padre”, Grido nella seconda, dopo un bridge di Strano che trasuda di speranza, narra della nuova vita di Mary, con un marito ed una bambina che ama e che le han ridato vita, aiutandola a lasciarsi alle spalle certi demoni asfissianti.

Durante l’intervista fatta da Grido nel 2022 con Rebel Mag, Grido ha anche parlato di Mary, spiegando di quanto desse fastidio, sia a lui, sia a THG (così come a tutto il gruppo) la critica di chi sosteneva che quella iconica canzone fosse una canzone costruita a tavolino. A detta di Grido si trattò anche della goccia che fece traboccare il vaso durante il periodo del dissing tra i Gemelli Diversi e Fabri Fibra, in quanto anche quest’ultimo sparò a zero su Mary.

martedì 19 dicembre 2023

John Gotti nelle canzoni rap.

Era il 16 Dicembre 1985 quando a New York, mentre uscivano da un ristorante, vengono assassinati i capi mafia Paul Castellano e Thomas Bilotti. Un omicidio che rese, in un batter d’occhio, John Gotti, organizzatore dell’assassinio, capo della potente famiglia Gambino.
Se John Gotti non è un nome per voi nuovo forse è anche merito di alcune canzoni che hanno menzionato questo nome, non ultima 1984 di Salmo (“capo come John Gotti, sveglio tutte le notti”), fino ad arrivare a nomi di tutto il mondo come Shindy, come Kaaris e Ace Hood.
Raccolgo in questo post alcune tra le migliori citazioni fatte a John Gotti. Si avvisa il lettore che il post in questione non ha la minima intenzione di mitizzare una figura che ha in qualche modo influenzato la società, ma si limita a informare e a riportare curiosità e notizie ad esso relative.
Le conoscevate tutte queste citazioni?

sabato 16 dicembre 2023

Alcune considerazioni su “Museica”.

Museica: musica da museo, una crasi che forse solo uno come Caparezza avrebbe potuto concepire, che già nel 2014 certamente non era nuovo a questo tipo di giochi di parole.

Un concept-album, come tutti gli altri dischi di Caparezza pre- e post-2014 che porta con sé una caratteristica particolare: ogni canzone è ispirata ad un quadro, che diventa il centro tematico delle strofe dell’artista, che si abbandona a una scia di pensieri, racconti e considerazioni su argomenti di stampo politico, sociale, personale, musicale, artistico, ecc…, con la sua solita penna irriverente, ironica, talvolta anche geniale e al contempo comprensibile solo ad un secondo, un terzo, od un quarto ascolto (e ancor più che ascolto, si potrebbe dire lettura del testo).

 

Raccontare sé stessi raccontando terzi.

A volte si parte dalla fine, come in Elite e quindi non si può non citare una frase: “autoritratto, anche se d’autori tratto”.

Museica parte esattamente da qui, dal titolo, quanto mai esplicativo: un museo, ma messo in musica, questo poiché ciascuna delle diciannove canzoni scritte da Michele hanno avuto come musa ispiratrice quadri e opere di più artisti e più epoche storiche.

Cover ne è un chiaro esempio: un sunto, una narrazione della sua vita attraverso la citazione di copertine iconiche della discografia italiana e mondiale, sebbene nel pezzo si nasconda anche un significato che riguarda la società tutta, che fa sì bene ad aspirare a diventare come i modelli che si vedono e si sentono in radio o in televisione, ma facendo anche bene attenzione a tendere ad essere differenti.

Ecco quindi che Caparezza si muove in lungo e in largo nel mondo dell’arte per raccontare sé stesso agli ascoltatori.

 

Non per tutti.

Ogni volta che esce un disco che fa flop, è puntuale una giustificazione: “non era per tutti”, o “non è stato capito”, che un po’ si rassomigliano.

Il disco in questione Caparezza lo aveva già bollato come “diverso” già dalle prime canzoni del disco, quasi come a voler mettere le mani avanti e pararsi anche dalle critiche che sarebbero potute arrivare da alcuni suoi ascoltatori. Si segnali, per esempio, che anche tra i suoi fan, nonostante la più che solida fan-base di cui può vantarsi Caparezza, c’è chi ha gradito poco il cambio di tematiche pre-Museica e post-Museica, che potrebbe rappresentare una sorta di spartiacque. Se prima di Museica, infatti, la penna di Caparezza era più incentrata su argomenti politici e sociali, da dopo Museica (ovvero coi dischi Prisoner 709 ed Exuvia) c’è stato un lento e graduale passaggio ad una scrittura più intimista, dettata forse anche dalle sue condizioni di salute in seguito alla diagnosi dell’acufene, di cui parlava già nel 2014, ma divenuta ufficiale solo un anno dopo, quando la problematica è diventata ‘sì tanto fastidiosa da avergli finanche stravolto il quotidiano vivere.

Museica quindi possiamo davvero dire che non sia per tutte le orecchie, in quanto il rischio di “imputtanarsi” è alto, per citare capa, e alto è anche il rischio di passare per paraculo.

La verità è che volenti o nolenti si tratta di un concept album (come tutti gli altri dischi suoi) dall’alto tasso di ricerca, non tanto (e non solo) musicale, quanto più ricerca e approfondimento nel campo artistico: conoscere quadri ed autori, epoche storiche e contesti geopolitici passati e presenti, da usare per giocarci a proprio piacimento.

 

Una riflessione su Van Gogh, una su Filippo Argenti: Troppo politico.

Troppo politico è una canzone in cui il capa risponde alla critica di chi dice di vederlo troppo esposto e troppo schierato politicamente parlando. Cos’è la politica? Cosa può essere definito “politica”? Senza dubbio, ogni azione che ciascuno di noi compie nel proprio piccolo può essere definita politica: è politica decidere di donare o non donare il sangue, è politica intervenire in una rissa o lasciar correre, e via discorrendo. E’ tutto politica in quanto la politica, almeno nella sua forma più pura, si fonde su una solida base di ideologie, pensieri e sensibilità per ciò che ci circonda.

La parola “sensibilità” è forse quella che si può addire a Caparezza più che a tantissimi suoi colleghi, e ne dà ampia prova in un brano in particolare: Mica Van Gogh.

Van Gogh non ha certo bisogno di presentazioni come artista, ma per Caparezza, ha sicuramente bisogno di una redenzione dal soprannome di “artista pazzo” che probabilmente neanche si merita, ma che prepotentemente gli hanno appioppato, per via delle folle azioni compiute in vita a causa delle sue condizioni di salute psicologica.

Se l’opinione pubblica lo considera un artista “pazzo”, Caparezza offre una contro-immagine di una persona che al di là delle sue problematiche ha dimostrato nei suoi scritti, nelle testimonianze e nei suoi comportamenti di avere una grande sensibilità.

Una decisione “politica” quella di redimere Van Gogh, così come quella di trattare di un personaggio inusuale della Firenze medievale come Filippo Argenti.

Del resto, è troppo comodo parlare del poeta vate per eccellenza: piuttosto, per dar vita alla propria originalità e ad una bella riflessione sulla violenza Filippo Argenti è di sicuro la personalità più indicata.

Contemporaneo di Dante, suo vicino di casa, ma avvezzo alla violenza e anche quella fisica, tanto da avere avuto vari problemi giudiziari proprio a causa di ciò. Il testo di Argenti vive Caparezza lo ha scritto proprio calandosi nei panni dell’Argenti, intento a scrivere una lettera “a cuore aperto” in cui mostra come la violenza sia l’unica arma che consente di perseguire un proprio scopo e di scuotere la realtà circostante generando un cambiamento.

Già dal titolo si nota un gioco di parole col detto “argento vivo”, che designa una persona vivace, irrequieta, agitata, e nell’intro cita ancha la “commedia” dantesca, in cui narra dell’incontro tra Dante, Virgilio e Filippo Argenti nel canto VIII, precisamente nel V cerchio dell’Inferno tra gli iracondi.

Politico, come è politica Avrai ragione tu (ritratto), in cui ironicamente si scusa per le sue rime “troppo politiche” in cui mira il bersaglio e spara senza lasciar sopravvissuti a terra. A dettargli legge sono i bolscevichi che ha nella testa, e che gli impongono persino d chiedere scusa ai leghisti (“magari chiedo scusa ai leghisti, magari / scrivo a caratteri cubitali / voglio la Padania libera, via dall’Europa / per il gusto di chiamarvi extracomunitari”).

 

Un’audioguida per i capamuseo.

In quanti avrebbero potuto concepire un concept album come quello di Museica alzino la mano: quasi tutte mani abbassate, su questo ci sarebbe da scommetterci.

Perché se il disco che si ascolta è il museo, la voce di Caparezza è la voce guida di questo capamuseo, che prende per mano gli ascoltatori per portarli a farsi un giro nel mondo intriso d’arte.

Un disco talmente intriso d’arte che anche la copertina è una vera e propria opera, un quadro, realizzato dal pittore Domenico Dell’Osso, e riadattato a copertina dell’album.

L’audioguida spazia, tenendo l’ascoltatore sempre attivo e ricettivo, anche a costo di fargli ri-ascoltare di volta in volta alcuni passaggi al fine di cogliere quante più sfumature possibili, come si fa con i quadi, in cui le pennellate si sovrappongono più e più volte per ridare all’occhio il giusto equilibrio di colori.

 

Le opere ispiratrici.

Di seguito troverete per ciascuna canzone del disco l’opera artista che l’ha ispirata.

Avrai ragione tu (ritratto): ispirata da My God, help me to survive this deadly love di Dmitri Vrubel (1979).

Mica Van Gogh: ispirata da Natura morta con bibbia di Vincent Van Gogh (1885).

Non me lo posso permettere: ispirata da Tre studi di Lucian Freud di Francis Bacon (1969).

Figli d’arte: ispirata da Saturno che divora i suoi figli di Francisco Goya (1821-1823).

Comunque dada: ispirata da L.H.O.O.Q. Di Marcel Duchamp (1919).

Giotto beat: ispirata da Corretti di Giotto (1306 circa).

Cover: ispirata dalla cover di The Velvet Underground & Nico disegnata da Andy Warhol (1967).

China town: ispirata da Quadrato nero di Kazimir Severinovič Malevič (1915).

Canzone a metà: ispirata da Il sogno di Dickens di Robert William Buss (1870).

Teste di modì: ispirata da Ritratto di Jeanne Hébuterne di Amedeo Modigliani (1918).

Argenti vive: ispirata da Virgilio respinge Argenti nel fiume Stige di Gustave Doré.

Compro horror: ispirata da Concetto spaziale, attese di Lucio Fontana (1965).

Kitaro: ispirata da gege no kitaro, anime e manga creato da Shigeru Mizuki (1959-1969).

Troppo politico: ispirata da Il quartto stato di Giuseppe Pellizza Da Volpedo (1898-1901).

Sfogati: ispirata da Testa di tigre di Antonio Ligabue (1940).

Fai da tela: ispirata da Il cervo ferito di Frida Kahlo (1946).

È tardi: ispirata da La persistenza della memoria di Salvador Dalí (1931).

È chiaro dunque come l’arte in ogni sua forma abbia influito sull’intera realizzazione del disco, dalle opere più datate a quelle più moderne (in percentuale superiore). Ciascuno dei quadri ha dato modo a Caparezza di muovere delle considerazioni.

 

Le tematiche.

Potremmo sintetizzare il tema di ciascuna canzone come segue.

Canzone all’entrata e Canzone all’uscita sono brani realizzati da Caparezza per salutare l’ascoltatore sia all’inizio che alla fine dell’ascolto del disco, in maniera tale da consentire al visitatore del capa-museo di ritornare successivamente per un nuovo ascolto.

In Avrai ragione tu (ritratto) Caparezza compie un ironico “mea culpa” nei confronti dei bersagli politici che ha preso di mira in tutti i suoi dischi, prendendo di petto anche il luogo comune che vuole tutti gli intellettuali dei “comunisti”.

A dispetto del titolo, la politica è pressoché assente in Troppo politico. O meglio: nel brano in questione compie una serie di giochi di parole e doppi sensi che possano rimandare al mondo della politica, ma a differenza di altri brani quali Non siete stato voi, giusto per fare un esempio, in Troppo politico non prende il tema della politica come cardine del testo, quanto più le forti critiche mossegli dai suoi detrattori, che lo vorrebbero “meno impegnato e meno esposto politicamente”.

Mica Van Gogh e Argenti vive sono i due brani in cui si mette nei panni rispettivamente di uno strenuo difensore del pittore olandese e nei panni di Filippo Argenti. Storie e periodi storici differenti (Argenti vissuto nel medioevo, contemporaneo di Dante, e Van Gogh vissuto nell’’800), ma che rimandano all’ascoltatore un quadro chiaro e ben definito delle sue considerazioni sia su Van Gogh, sia sul ruolo della violenza nella società, usando Filippo Argenti come personificazione della violenza stessa, in quanto personalità ad essa votata oltre che parecchio irascibile, come descritto dalle testimonianze pervenuteci.

In Non me lo posso permettere in maniera ironica descrive la situazione economico-sociale italiana di quegli anni, in cui si stava vivendo una forte crisi economica non solo italiana, ma anche mondiale, che ha portato sul lastrico tantissime persone che han deciso di aprire un’attività, e altrettante persone che han deciso di farla finita non vedendo possibilità alternative per poter portare avanti la propria vita e quella dei propri cari.

Figli d’arte invece affronta un tema che oggigiorno possiamo vedere, per esempio, nelle numerose Instagram stories e nei post delle persone “famose” ed “influenti” che quotidianamente postano le foto con la propria famiglia e i propri figli. Proprio la vita dei figli di queste persone è il tema centrale della canzone: una vita vissuta di riflesso, all’ombra di un padre (o di una madre) poco attento ai bisogni del figlio, e più sensibile al proprio lavoro, alla gratificazione proveniente dagli sconosciuti per il mestiere che fa. Nella fattispecie, Caparezza menziona indirettamente e in maniera del tutto implicita anche il caso di John Lennon e di suo figlio Julian che, poco dopo la morte del grande cantautore dei Beatles, sostenne che il padre non fosse mai stato un buon padre. Il riferimento alle dichiarazioni di Julian sono presenti anche nel ritornello, in cui Caparezza fa riferimento ad un artista che, sebbene scriva canzoni in cui promuove pace e amore (in tal caso John Lennon è anche l’autore ed interprete della canzone per la pace per eccellenza, Imagine), in realtà nel proprio privato è una persona molto insensibile e disinteressato alla vita del proprio figlio.

Proseguendo lungo la tracklist, Comunque dada la potremmo vedere come una sorta di Azzera pace di Museica, in quanto descrive il movimento artistico dadaista inserendolo in un contesto storico-politico-sociale, mostrando l’atteggiamento anti-bellicistico degli artisti che han preso parte a tale movimento. Allo stesso modo, anche Caparezza traccia un parallelismo col suo modo di fare e col suo modo d’essere, pronto sempre a mettere in discussione tanto sé stesso quanto la realtà circostante, anche a costo di essere moralmente messi al rogo.

Il rogo viene menzionato anche in Canzone all’uscita, dove fa riferimento, tra le altre cose, alla censura feroce che il regime nazista aveva compiuto ai danni dell’arte “non allineata”, “non convenzionale”, “deviata”, in tedesco “entartete kunst”, quest’ultimo appellativo con cui hanno intitolato, gli stessi nazisti, una mostra d’arte moderna col chiaro intento di schernire, dileggiare quel tipo d’arte.

Sfogati invece parla della reazione di Caparezza alle critiche più o meno feroci che gli arrivano, e nella fattispecie alla critica superficiale che viene mossa da persone che non hanno le conoscenze adatte per poter muovere critiche di alcun tipo; anche Troppo politico, similmente a Sfogati, è una risposta a chi, invece, gli addita la “colpa” di essere troppo esposto politicamente, tra critiche alla Lega, e idee che sposano più un certo orientamento politico piuttosto che l’opposto. La verità è che, in fondo, tutto ciò che compiamo anche nel nostro piccolo può essere definibile politica, in quanto influenza sia la nostra vita, sia chi dalle nostre scelte viene influenzato.

Canzone a metà (posizionata peraltro esattamente a metà tracklist) affronta il tema del blocco e della non-terminazione di un’opera, che può avvenire per paura, per ansia, o per cause di forza maggiore. È significativo notare come a dare il là a questa canzone sia stato un quadro rimasto incompleto a causa della morte dell’autore dell’opera, Robert William Buss, prematuramente scomparso mentre stava ancora lavorando al quadro (dal titolo Il sogno di Dickens).

Teste di modì prende ispirazione da un fatto di cronaca realmente avvenuto, in cui i protagonisti furono tre ragazzi che, per puro divertimento, realizzarono delle sculture alla maniera di Modigliani, che al loro ritrovamento al Fosso Real di Livorno vennero ritenute da tanti (esperti d’arte compresi) degli originali realizzati da Modigliani stesso. Caparezza qui si prende gioco dei tanti professionisti o presunti tali che han fatto in tempo ad accaparrarsi la notizia il prima possibile, scrivendo articoli, realizzando servizi giornalistici e scrivendo libri, poco prima che i tre ragazzi (Pietro Luridiana, Pier Francesco Ferrucci e Michele Carducci, peraltro presenti anche nel videoclip della canzone) confessassero di essere stati loro gli autori delle sculture, realizzate con un banalissimo Black & Decker.

Compro horror invece ha come tema pulsante la tematica della spettacolarizzazione della morte e delle tragedie, che diventano centrali nei palinsesti televisivi di emittenti tanto pubbliche quanto private, soprattutto nei momenti subito successivi a tali avvenimenti spiacevoli. Un attaccamento morboso che anche il pubblico spettatore dimostra di avere, aumentando lo share per tali programmi, che nel frattempo fanno cassa su tali tragedie, producendo e mandando in onda filmati, girati, registrazioni e scoop, molti dei quali a dir poco stomachevoli, riguardo le vittime, i parenti delle vittime, e non di rado anche riguardo gli assassini e i criminali che hanno commesso il reato. Ultima ma non ultima la vicenda della giovane Cecchettin, che nella giornata di martedì 5 dicembre 2023 ha ricevuto i funerali di stato, mandati in onda sulla Rai: subito dopo il ritrovamento del corpo della ragazza, casa Cecchettin è stata presa d’assalto da giornalisti o presunti tali giunti sul posto con microfoni e telecamere illuminanti puntate in faccia ai familiari reduci di un dolore ‘sì grande come quello della scomparsa di una figlia e di una sorella, porgendo domande di circostanza quanto mai banali come un “come vi sentite?”, nella speranza forse di fare scoop all’ascolto della surreale risposta “stiamo festeggiando dalla gioia”.

Proseguendo sulla tracklist, troviamo Kitaro che, ispirata al mondo dell’arte, dei manga e degli anime (dunque cultura orientale), tratta il tema delicato dell’isolamento fisico e mentale che vivono parecchi giovani nel mondo. Fenomeno noto come hikikomori, che porta non di rado alla morte non solo spirituale, ma anche fisica del giovane, che non trova altra scappatoia, in fuga da un mondo dal quale si sente oppresso e che impone rigidi canoni di estetica, di vittoria, di bellezza (come se poi ce ne fossero, di canoni) di cui non tutti riescono a sopportarne il peso spirituale. In tale contesto, Kitaro, personaggio dell’anima e del manga Gegege no Kitaro, avrebbe come ruolo da svolgere quello di salvare il ragazzo hikikomori, farlo uscire dal proprio guscio, similmente a quanto fa nelle due opere sopra citate, che combatte contro gli yokai, spiriti maligni, per proteggere gli esseri umani.

Chiude poi la tracklist È tardi, subito prima di Canzone all’uscita. È tardi (che peraltro si apre con il classico annuncio che precede di qualche minuto la chiusura di un museo, o di altri luoghi non necessariamente affini) mette in fila tutta una serie di situazioni in cui Caparezza, pur sentendosi “indietro” rispetto alla società circostante, continua imperterrito senza fermarsi. Un concetto sviscerato anche in Ti fa stare bene, 2017, quando rappa: “sono tutti in gara e rallento, fino a stare fuori dal tempo / superare il concetto stesso di superamento mi fa stare bene”. E a tal proposito, sarebbe utile ricordare di come Caparezza sia sostanzialmente arrivato al successo definitivo oltre i 30 anni, dopo aver realizzato due dischi come Mikimix prima del 2000: uno standard che nel corso degli anni nella discografia italiana e internazionale si è andato abbassandosi sempre di più per quanto riguarda l’età anagrafica, se si pensa che molti suoi colleghi anche nel rap diventano famosi già praticamente in fasce, talvolta da minorenni, pur senza badare all’aspetto della longevità del prodotto che questi ultimi immettono sul mercato musicale.

 

Considerazioni finali sul disco.

Per quanto riguarda il disco in sé, le considerazioni si sprecherebbero, ma si può provare comunque a esporre un proprio pensiero in merito all’opera.

Sebbene tanti conoscano Caparezza come personaggio per via della sua caratteristica voce “in falsetto” (comunque andata via via a scomparire, soprattutto da dopo Prisoner 709) e della sua capigliatura che gli è valso questo nome d’arte, musicalmente parlando è innegabile che non sia per tutti.

A ben guardare, nonostante brani come Vieni a ballare in Puglia, Fuori dal tunnel, ma anche Non me lo posso permettere e Ti fa stare bene, siano diventate hit riconosciute a livello nazionale, il Caparezza artista quasi rifugge la sovraesposizione, e le sue liriche riflettono la sua voglia di distinguersi a tutti i costi, per creare un’alternativa anche nel suo stesso ambiente musicale (che può essere il rap, ma lo stesso discorso vale anche ingrandendo il raggio d’azione alla musica mainstream/pop). Un’alternativa che riguarda sia l’aspetto musicale, sia l’aspetto testuale.

Sebbene ci siano tali premesse, Caparezza, “commercialmente” parlando, in un modo o nell’altro la sfanga sempre. E questo lo possiamo ricollegare al fatto che la sua musica può (e qui nasce il paradosso) arrivare potenzialmente a tutti, anche se in pochi possono essere coloro che possono capirlo.

Canzone all’uscita, ci dice Caparezza, è una canzone che invita l’ascoltatore a “ritornare” a far visita al suo capa-museo, un po’ come dire “riascoltare” la stessa canzone per una seconda, terza o quarta volta e potenzialmente fino all’infinito per leggerci ad ogni nuovo ascolto una chiave di lettura in più che all’ascolto precedente non era giunto all’orecchio del fruitore. Pennellata dopo pennellata, ascolto dopo ascolto, visita dopo visita, l’ascoltatore può carpirne quante più sfumature possibili, quante più particolarità, curiosità, nozioni, immagini, doppi sensi e giochi di parole che difficilmente possono arrivare ad un ascolto superficiale, i quali spesso inducono le persone ad esprimere giudizi “en tranchant” senza concedere all’opera di arrivare dove deve veramente arrivare, magari offrendo a quest’ultima una rilettura continua.

Museica è un disco di Caparezza, e in quanto tale non necessita di voti o di giudizi in quanto troppo riduttivi del lavoro effettuato. E neanche serve sminuire la fatica (e l’artista) con i soliti commenti in croce quali “geniale”, “inarrivabile”, “insuperabile”. Si tratta di un disco che, “alla maniera di Caparezza”, può offrire tanto a chi decide di approcciarsi al progetto schiacciando play, magari spingendo le persone anche ad appassionarsi al mondo dell’arte visiva, fondamentale per la creazione del disco come abbiamo avuto modo di vedere in queste righe.

Tuttavia, se volessimo provare a sintetizzare il progetto con poche parole, potremmo descrivere Museica come un’opera d’arte che si serve dell’arte stessa per creare ancora altra arte, della quale poter dibattere e sulla quale poter sviluppare discussioni, spunti di riflessione ed opinioni. Ed in taluni casi, poter servirsi di essa per arricchire il proprio bagaglio culturale.

giovedì 30 novembre 2023

Uno dei migliori duetti di Sanremo: Giorgia & Finizio in “I’ te vurria vasà” (1995).

Sanremo 1995, conduzione e direzione artistica di Pippo Baudo. Durante quell’edizione il festival fu vinto da Giorgia con Come saprei e vide altri partecipanti di tutto rispetto quali Andrea Bocelli con Come saprei, Giorgio Faletti con L’assurdo mestiere e Ivana Spagna con Gente come noi.

Durante la serata dedicata ai duetti, proprio la vincitrice si cimentò, accompagnata ad un’altra grande voce della musica napoletana, Gigi Finizio, in un’interpretazione a dir poco magistrale di un brano proprio della tradizione musicale napoletana: I’ te vurria vasà.

I’ te vurria vasà nasce come poesia, scritta da Vincenzo Russo, modesto calzolaio, racconta di una storia d’amore mai andata in porto tra lui ed Enrichetta Marchese. Una storia d’amore che, pur ricambiato, è stato osteggiato e impedito dai genitori di quest’ultima. Vincenzo Russo scrisse la poesia sul finire del 1899, e fu musicata successivamente da Eduardo Di Capua, notoriamente già compositore musicale della canzone ‘O Sole mio, pubblicata nel 1898, e da Alfredo Mazzucchi. Secondo la tradizione, i fogli con i versi della poesia furono consegnati da Russo a Di Capua il 1° gennaio 1900 sul finire di una rappresentazione teatrale al Salone Margherita dove si esibiva Armando Gill.

La canzone è stata negli anni ripresa e reinterpretata da numerosi altri cantanti: oltre a Giorgia e Gigi Finizio infatti l’hanno portata al loro pubblico anche nomi come Claudio Villa, Mango, Mina, Enrico Caruso, Luciano Pavarotti, Sergio Bruni, Peppino Di Capri e Massimo Ranieri.

domenica 19 novembre 2023

“Gita al cimitero abbandonato di pietrastornina” + “Il docu-vlog”.

Per l’ultimo Amedeus adventures in occasione di Halloween siamo andati a Pietrastornina alla ricerca del famoso cimitero abbandonato di cui vi avevo parlato alcuni post fa nell’annuncio dell’evento.

Chi mi conosce sa quale sia la mia passione per i posti e per i luoghi abbandonati, di cui vado alla ricerca anche nella mia stessa città, per stare sereno, rilassato, isolato da tutto e tutti, dalla frenesia della città.

Halloween si chiamava proprio un Amedeus adventures horror. Per nostra fortuna abbiamo Google a nostra disposizione, e infatti è proprio su Google che ho digitato “luoghi e posti abbandonati in Campania”. Dopo una lunga ricerca (e più di una settimana di cernita e di indecisioni sulla scelta) ho optato per il cimitero abbandonato di Pietrastornina, di cui ho letto la storia sul sito Derive Suburbane.

Per chi non lo sapesse, già nel 2022 mi sarebbe piaciuto organizzare un Amedeus adventures horror, e nel corso dei mesi ci siamo scambiati, io ed altri, possibili posti abbandonati in Campania e fuori dalla Campania, da poter visitare.

Siam partiti Pietro ed io attorno alle 19 da Acerra, dopo una piccola sosta alla Conad per un rapido acquisto di biscotti, patatine e bibite da mangiare una volta sul posto.

La tappa intermedia è stata Baronissi per prendere Arturo e Roberto. Presi loro, siam subito ripartiti per raggiungere Pietrastornina. Alla guida ci siamo alternati io e Roberto all’andata e al ritorno.

Giunti nella cittadina abbiamo fatto un po’ di fatica ad orientarci, anche a causa del buio, oltre che per una nostra non-conoscenza del posto. Dopo aver chiesto anche indicazioni qua e là, abbiamo alla fine deciso di parcheggiare l’auto e proseguire la ricerca a piedi. Come da indicazioni di alcuni ragazzi, la strada che dovevamo percorrere era una strada sterrata e in salita. Abbiamo prima seguito una prima strada, dimostratasi da subito fallimentare. Siamo pertanto scesi e ritornati sulla strada principale.

Certo non sarebbe stato facile trovare un cimitero ormai abbandonato da anni, ma questo lo sapevamo. Abbiamo aperto Google alla ricerca un tantino più approfondita di alcuni indizi, servendoci di ciò che avevamo a nostra disposizione. Abbiamo deciso così di proseguire sulla strada principale Strada Statale 374 fino ad arrivare fuori ad un ristorante sito giù ad una stradina poco dopo la curva che abbiam percorso a piedi. Pochi, pochissimi nomi, altrettanti pochi indizi e ancora meno luci. Ma quella strada che avevamo dinanzi ci sembrava proprio quella nostra.

L’aria era fredda. Non eccessivamente, ma fredda, di montagna, ma non era l’unica cosa a farci rabbrividire: a mettersi c’era anche l’ambiente circostante. Alle nostre spalle la vallata illuminata da luci e casette (e in lontananza si distinguevano anche i lumini del nuovo cimitero di Pietrastornina, davanti al quale eravamo passati a piedi pochi minuti prima), mentre davanti a noi c’era la strada in salita che stavam percorrendo a piedi e al quasi più totale buio, con le pochissime auto che passavano di lì e l’abbaiare insistente dei cani che proveniva dalle poche abitazioni circostanti.

Nel camminare ci siamo imbattuti solo in due deviazioni in una strada a destra, e in un sentiero sterrato che invece si trovava sulla sinistra, quest’ultimo situato poco prima di un inquietante e spettrale cancello arrugginito. Una volta preso coraggio ci siam fatti guidare dall’istinto e abbiamo deciso stupidamente di percorrere quel sentiero sterrato. Per fortuna non era piovuto, e il terreno era quasi per nulla fangoso. Il claim era solo uno: “rimaniamo uniti”. La paura era che qualche serpente, qualche lupo o cinghiale affamato o qualche malintenzionato potesse trasformare quella serata easy in una simil-tragedia. Cosa che non è stata, ovviamente, ma il solo fatto di stare con i sensi ben allerta ci faceva amplificare ogni scricchiolio di rami, ogni folata di vento tra le foglie, le quali avevano ormai preso il sopravvento sull’ambiente circostante: non le luci delle abitazioni, né più la luce riflessa della Luna era presente nel nostro campo visivo, ma solo quelle foglie e quegli alberi.

Arturo era davanti in ricognizione che premeva per farci continuare con l’esplorazione, e noi altri dietro, fermi immobili, con Pietro che iniziava ad avere i brividi ed io con lui. “Non è detto che dobbiamo completarla la missione” avevo detto fino a qualche ora prima “se percepiamo qualcosa di strano o di sinistro, di davvero sinistro e pericoloso, possiamo semplicemente tornare indietro da dove siamo venuti”. E così, dopo un breve confronto inter nos, dopo aver proceduto per quel sentiero per qualche decina di metri a passo da formica, allo stesso modo siam tornati indietro, ripercorrendo a ritroso la strada fatta precedentemente. Questo snobbando e tralasciando completamente anche l’altra stradina, su cui peraltro ci avevo già posto l’occhio da alcuni giorni come possibile strada da percorrere per raggiungere il cimitero. A tornare indietro…

Giunti alla macchina, ci siamo riposati sulla panchina, consumando Monster e limonata, grisbì e patatine bianche Conad. A nulla è servito chiedere anche a due carabinieri usciti per il loro giro di ricognizione dalla caserma davanti alla quale abbiam parcheggiato; in cambio, ci è spettato un controllo documenti generico e una chiacchierata di venti minuti con l’agente in divisa nera, di cui abbiam parlato sommariamente delle nostre vite e del nostro salto a Pietrastornina. Ma del cimitero abbandonato, neanche loro sapevan nulla.

Ce ne siam partiti di là intorno all’1, neanche tanto delusi, ma con la sensazione di aver lasciato un conto in sospeso con Pietrastornina, come quelle anime in pena che tornano ad infestare i luoghi e le zone in cui avrebbero dovuto portare a compimento qualcosa. Dopo una sosta di una mezz’oretta a Baronissi fatta di cazzeggio più totale e di sconnessione neuronale, io e Pietro siamo partiti alla volta di Casapesenna, prima che potessi definitivamente fare ritorno, attorno alle 5/5:30 del mattino, presso la mia abitazione.

Solo il giorno seguente, nella tranquillità più totale della mia cameretta, mettendo a confronto Maps, foto reperite online e altro materiale, mi sono imbattuto in quello che al 99% sembravano essere l’ingresso e la cripta del cimitero abbandonato di Pietrastornina.

Ebbene potrei dire quindi che non è detta l’ultima parola per quanto riguarda il cimitero. Certo, l’ideale sarebbe che ci si rechi in un orario diurno, in maniera tale da avere una chiara visuale del panorama e delle strade da percorrere, che specie in quei posti sono qualcosa di fortemente impraticabile di notte per chi, come noi, si è recato sul posto senza particolari attrezzature anche per un rapido salvataggio e per la nosta stessa incolumità.

Pietrastornina: io e te ci rivedremo molto molto presto!

 

P.S.: l’Amedeus adventures vi ricorda che nel 2024 si terrà il primo viaggio all’estero a Vienna. Prerogative del viaggio: low budget, gita fuori di cinque giorni o poco più, all’insegna del divertimento, dell’esplorazione, dell’avventura e della cultura.

Budget stimato: 600€ totali circa.

Mezzi di trasporto: bus e/o treni.

Periodo stimato: fine Agosto/inizio Settembre.

Contattami in privato per aderire, e stay tuned!

giovedì 9 novembre 2023

Il Red Bull 64 bars live a Napoli è sempre una figata!

Napoli nella musica rap sta regnando forte da qualche anno. Sono anni che assume sempre più una sua identità, e il fatto che la Red Bull scelga il capoluogo campano per l’evento rap dell’anno è una prova che attesta l’importanza di questa città.
Nel 2022 sul palco salirono Fabri Fibra, Guè, Marracash, Madame, Ernia e Geolier capitanati da Dj Tayone. Quest’anno invece è toccato a Geolier (unico confermato dallo scorso anno, oltre a Marracash, annunciato pochi giorni prima dell’evento a sorpresa), Luchè (annunciato durante il dissing con Salmo, che avrebbe dovuto partecipare insieme agli altri artisti), Noyz Narcos, Lazza e Rose Villain, questa volta diretti da Young Miles.

Il rap riparte da Napoli.
Il 64 bars è un progetto che dalle sue origini, avvenute intorno al 2019, si poneva nel proporre il rap in una chiave molto classica: un mc e un produttore, nient’altro. Rime e barre, rime e barre, molte volte senza ritornelli, con sperimentazioni di flow e di stili musicali. Lo testimoniano, ad esempio, i tre freestyle di Marracash (prodotti rispettivamente da Crookers & Nic Sarno, Marz e Tha Supreme), lo testimonia il 64 barre di Salmo prodotto da Luciennn, così come il 64 barre di Geolier prodotto da Poison Beatz e Dat Boi Dee. Elementare, Watson. Vince chi fa le barre più fighe nei pezzi.
Napoli è stata scelta sicuramente per il suo immaginario: piazza Ciro Esposito, in zona le vele di Scampia è un luogo iconico per il rap, in cui si sono formati nomi come i Co’ Sang, omaggiati anche da Luchè nella serata di sabato 7 ottobre quando con Geolier ha interpretato Over da Dove volano le aquile, dove Guè girò il video di Tuta di felpa con Ntò e dove fecero lo stesso i due rapper francesi che compongono il duo Pnl con la canzone Le monde ou rien.
Negli ultimi anni, le vele di Scampia stanno anche affrontando un periodo di bonifica e riqualifica, nella speranza che possano finalmente affrancarsi, una volta e per tutte, da tutta una serie di luoghi comuni che vuole quella zona come zona piena zeppa di contesti criminali e ai limiti della legalità.
Avere uno show del genere in zona è un’ottima opportunità per tutti, artisti e giovani ascoltatori di rap, che crescono, se vogliamo, con un esempio virtuoso di come l’arte può farsi veicolo di messaggi positivi di riscatto e di vittoria, lontana dai guai a cui spesso viene allacciata da un certo tipo di stampa mainstream.

Dopo il primo 64 bars live.
Al termine del primo Red Bull 64 bars live nel 2022, il pubblico di Napoli si era resa testimone di una promessa: “ci vediamo nel 2023”. E così è stato: Red Bull ha rispettato i patti, e nella prima metà del 2023 ha iniziato a svelare i nomi, che pian piano hanno iniziato a pubblicare e a incidere i loro 64 bars freestyle. Nella stessa data, Young Miles, Salmo, Rose Villain, Geolier, Lazza e Noyz Narcos hanno postato nelle loro storie la data dell’evento. Non tutti, tuttavia, avevano pubblicato il loro 64 bars. Tra loro, mancava all’appello, ad esempio, Geolier (che ne aveva rilasciato uno lo scorso anno per il primo evento Red Bull a Scampia), e un altro che pure mancava all’appello era Salmo.

La questione Salmo: il freestyle, il dissing e l’annuncio di Luchè.
Nel freestyle rilasciato da Salmo questa Estate, Salmo “ha fatto ’o panico” come si direbbe dalle parti di Napoli. Infatti, nel pezzo prodotto da Luciennn, giovane talento che si sta facendo notare nella scena da un po’, Salmo ha fatto espliciti riferimenti a Luchè, con cui aveva avuto dissapori accesi nel 2019. Solo via Instagram, si intende. Un dissing mai evolutosi in musica, non fino a questa Estate.
In un passaggio, infatti, Salmo rappa: “l’Inferno lo conosco bene / ci tornerei per farci un mese / una vita di promesse spese / driiin: squilla il telefono inglese”, facendo riferimento al famoso telefonino inglese su cui, a dire di Luchè, aveva i messaggi di Salmo in cui si complimentava con lui per il disco Malammore, mentre Salmo sosteneva di non aver mai ascoltato Luchè.
Apriti cielo. Dopo il rilascio del freestyle, per quattro giorni è andato avanti un pesante scontro a colpi di rime, con dissing pubblicati finanche a distanza di un paio di ore l’uno dall’altro: accuse, punchline, rime, cattiveria, stile che volavano, mentre due tra i maggiori esponenti della scena se le davano di santa ragione.
Proprio nel mentre del dissing, Red Bull, essendo Napoli una città da sempre legata a Luchè per ovvie ragioni, aveva annunciato anche la presenza di Luchè, subentrato in un secondo momento. Sebbene molti volevano il dissing una finzione per sponsorizzare l’evento, Salmo pubblicò un commento categorico sui propri social: “non parteciperò all’evento di Scampia”. Molti hanno collegato questa decisione al fatto che abbia ricevuto minacce di morte da parte di alcuni utenti sui social proprio durante il dissing avuto con Luchè.
In realtà, Salmo spiegherà i motivi della sua assenza solo due giorni prima dell’evento, specificando che: 1. La Red Bull era al corrente della sua assenza da questa Estate e l’aveva resa pubblica solo pochi giorni prima, sostenendo anche essere poco professionali; 2. Non avrebbe più partecipato all’evento poiché non gli avrebbe fatto piacere dover interagire con una persona con cui non va d’accordo.
Suonano ironiche le parole pronunciate da Salmo durante l’intervista con Gq Italia, dove aveva dichiarato, a proposito della frecciatina a Luchè: “nel rap, quando fai freestyle, intrattieni, fai le punchline, se avessi voluto insultare avrei detto un’altra roba. Però invece che stare lì a rompere le palle ci gioco su, è una cosa scherzosa. Non penso che si offenderà, si farà una risata anche lui”. Lineare, no?
Sia come sia, Salmo davvero ha dato buca. Del resto Napoli è “la città di Luchè”, come afferma quest’ultimo in Potere e, al di là della questione “interazione sul palco” tra i due (che avrebbero comunque potuto limitare al minimo) ci sarebbe potuto essere un serio problema durante l’esibizione: un’eventuale risposta negativa da parte del pubblico, che avrebbe potuto compromettere la naturale esibizione dell’artista sardo.
A poco è servita anche la storia rilasciata dalla pagina della Bfm Music, etichetta fondata da Luchè. Storia passata quasi inosservata, in cui si son dichiarati dispiaciuti per il forfait di Salmo, specificando che sarebbe stato un’ottima occasione di confronto tra i due artisti, e anche un ottimo modo per accogliere Salmo con l’amore che si merita.

Il concerto.
Il concerto alla fine si è fatto. Con o senza Salmo, ma con la presenza a sorpresa di Marracash, annunciato pochi giorni dopo la data partenopea del Marrageddon (ancora una volta Napoli ha mostrato il suo rispetto nei confronti del “king del rap”, come se non fosse bastata la dimostrazione della settimana prima), e di Anna, con ogni probabilità protagonista del Red Bull 64 bars del 2024 (che potrebbe, peraltro, anche cambiare location).
Durante il concerto tutti gli artisti sono stati giostrati da Young Miles, e hanno avuto modo di cantare un quarto d’ora a testa circa, esibendosi con i loro 64 bars rilasciati per sponsorizzare l’evento con l’aggiunta di alcune loro hit. Luchè, unico a non aver ancora pubblicato ufficialmente il suo di freestyle, ha avuto modo di presentarlo qui in anteprima, mandando il pubblico in visibilio.
Come nel 2022, anche quest’anno gli artisti hanno interagito sul palco: Lazza e Geolier, ad esempio, hanno portato Chiagne, Luchè e Noyz Narcos hanno cantato Casa mia, giusto per fare due esempi. La conclusione è avvenuta con un’esibizione a sorpresa di Geolier e Luchè che hanno interpretato Over, brano in collaborazione contenuto in Dove volano le aquile, e che contiene un campione di Int ’o rione dei Co’ Sang, di cui Luchè ha specificato essere un tributo.

Il prossimo Red Bull 64 bars live.
Red Bull ha confermato l’organizzazione dell’evento anche per il 2024, dopo i successoni delle prime due edizioni. In molti sperano che la location torni ad essere ancora una volta Scampia, in quanto sarebbe un ottimo segnale per la città di Napoli, che negli ultimi tempi sta vivendo un periodo aureo per i concerti (basti pensare alla doppia data dei Coldplay, o alla data del Marrageddon), e ci si auspica pertanto che questo periodo magico continui anche nel 2024. Nel frattempo, abbiamo solo la conferma che si farà, e abbiamo anche un nome dato ormai per certo: Anna, che negli ultimi tempi si sta facendo notare sempre di più, e dal 2020 è in continua ascesa, dando voce, insieme anche ad altre sue colleghe, una possibilità anche alle female rappers di poter avere una voce nella nostra nazione.
Voi chi vi auspicate ci sia al prossimo Red Bull 64 bars live? E dove sperate che lo facciano?

lunedì 30 ottobre 2023

Gita al cimitero abbandonato di Pietrastornina.

C’è un piccolo paesello in provincia si Avellino minacciato da molti anni dallo spopolamento: il luogo in questione è Pietrastornina.
A Pietrastornina è presente un posto alquanto suggestivo e sinistro, caduto in disuso dagli anni ’60 in poi: si tratta del vecchio cimitero ottocentesco in cui restano ben poche tracce di quel che era in passato. Circondato dalle colline, nel vecchio cimitero è possibile ammirare una chiesetta (ridotta a rudere) e una cappelletta privata (ormai ricoperta dalle piante). L’ingresso a questo cimitero abbandonato è segnato da una piccola croce posta al centro di due cancelli ormai divelti.
Questo vecchio cimitero di Pietrastornina è anche strettamente legato alla leggenda della ‘sposa imbalsamata’. La leggenda in questione vuole che all’interno del cimitero sia stata sepolta imbalsamata una giovane donna prossima alle nozze deceduta negli anni ’20 per via dell’influenza spagnola. Sebbene la leggenda narri che il corpo della donna sia stata imbalsamata e conservata in una teca di vetro, è d’obbligo segnalare che in realtà di questo corpo in questo posto non ci sia traccia alcuna. Una leggenda metropolitana, si diceva, che per ironia della sorte l’avvocato Davide Urciuolo, esperto di storia e miti del luogo, propose di farla diventare la chiave per far sì che il paesino di Pietrastornina potesse invertire la rotta dello spopolamento e della sua progressiva ‘morte’. Del resto, per citare il sito Derive Suburbane, ‘questa narrazione sospesa tra morte e vita è emblema della volontà di salvare la memoria al di là della fine. Oggi, potrebbe persino diventare lo spunto per restituire vita ad un luogo simbolico dell’unione comunitaria di un paese e, forse, al paese stesso’.

In occasione della festività di Halloween, l’Amedeus adventures approderà proprio al cimitero abbandonato di Pietrastornina in data 31 ottobre 2023.
Info generali:
• luogo: cimitero abbandonato di Pietrastornina;
• orario: 19.30/20 circa - 2/3 di notte;
• come arrivarci: automobile;
• cena e sfizioserie: a sacco.
Munirsi di: soldi, caricabatterie, cellulari muniti di torcia, torce, abbigliamento rigorosamente a strati, zainetto per raccogliere cibo e abiti.
Per ulteriori info e adesioni, contattatemi in privato!

Fonte articolo: Derive Suburbane.

giovedì 26 ottobre 2023

‘Se sei un vero artista...’.

A proposito di Liberi e della collaborazione di Fibra e Francesca Michielin...
Fibra e la Michielin avevano avuto modo di collaborare già due volte nel 2018 per il brano Fotografia di Carl Brave, e per il brano Monolocale, inserito nel disco Feat (stato di natura) di Francesca Michielin. Liberi invece è stato realizzato per l’ultimo progetto di Fibra Caos, uscito nel 2022.
Spesso le collaborazioni tra artisti nascono in un contesto puramente amichevole, ma ci sono molti altri che nascono con l’intento di valorizzare un brano, anche al di là del rapporto di amicizia che ci sia o meno tra due artisti che collaborano tra di loro.
Fibra non ha mai fatto mistero del rispetto che prova per la cantante uscita dal talent X-factor, cosa che già nel 2016 palesò sui suoi social in occasione della promozione della riedizione di Tradimento. Nell’intervista rilasciata a Trx Radio nel 2022 condotta da Damir Ivic, Fibra ha spiegato come è nata la collaborazione di Liberi, specificando come inizialmente la canzone prevedesse una strofa di Francesca Michielin, autrice della musica e del ritornello del brano. A tal proposito, parlando della scelta presa successivamente da Fibra di rimuovere la strofa della Michielin per mantenere solo il suo ritornello, il rapper ha detto: “se sei un vero artista lasci fare, perché quel che conta è il risultato finale: se funziona, vinciamo tutti”.

venerdì 13 ottobre 2023

Alcune considerazioni sul “Marrageddon”.

Si è da poco conclusa una fantastica pagina per il rap italiano: il Marrageddon fest ha dimostrato a tutti che il rap è un genere molto seguito da tutti, tanto al Nord quanto al Sud. 85mila spettatori per la super-data di Milano e 55mila per quella di Napoli. Un evento stratosferico, che chi lo ha visto da vicino avrà avuto sicuramente una fortuna enorme. Non è ancora chiaro se il rapper l’anno prossimo tornerà con una nuova edizione del festival. Certo è che il Marrageddon ha segnato uno spartiacque, un po’ come Persona nel 2019 per la discografia italiana e nel genere rap in particolare.

Concluse tutte e due le date, è arrivato il momento di fare un po’ di bilanci, dalle note più dolenti alle figate più pazzesche che si sono viste e sentite sul palco e dietro le quinte.

 

Marrageddon e i 50 anni dell’hip-hop.

Il fatto che Marra abbia organizzato un festival di tale portata proprio nel 2023 “non è un caso”, per riprendere il claim della canzone di Guè e Marra Nulla accade. I motivi sono principalmente due: 1. L’anno d’oro che ha avuto nel 2022 col suo tour nei palazzetti più volte rimandato potrebbe aver gettato infatti delle ottime basi per questa folle avventura; 2. La celebrazione dei 50 anni dell’hip-hop, che ha avuto origine nel 1973.

Celebrazione che in Italia qualcuno probabilmente non si aspettava, siccome un giorno sì e l’altro pure si inizia a parlare di declino del genere rap, specialmente nel post-pandemia. La prova di questi due magici sold-out testimonia lo stato di salute del rap in Italia. Il festival infatti non è stato arricchito minimamente da nomi stranieri grossi, ma solo e unicamente di rapper italiani che han fatto e stan facendo la stroia del genere.

 

La partnership con Radio Dee Jay.

Radio Dee Jay, per chi la conosce da più tempo, sa quanto sia stata vicino al rap molto più di altre stazioni radio. Una vicinanza spirituale, sincera, grazie alla passione di alcuni conduttori come dj Albertino, già conduttore e padrone di casa del Mentos Hip Hop Village, festival che si teneva sul finire degli anni ’90 e bruciatosi rovinosamente anche a causa dell’immaturità tanto del pubblico quanto della scena (che infatti sugli inizi degli anni 2000 farà i conti con un vuoto quasi totale, fatta eccezione per un paio di nomi che saranno in grado di risollevare le sorti del genere).

Radio Dee Jay è stata ultra presente in queste due tappe del 23 e del 30 settembre, con interviste speciali, dirette e anche le aperture di Michele Wad Caporosso durante le quali iniziava a far scaldare il pubblico prima delle esibizioni di Dj Zak e Dj Tayone (e ovviamente di tutti gli artisti coinvolti da Marra). Si tratta di una scelta coerente e ragionevole, se si pensa anche che Marra iniziò a svelare qualcosa proprio a Radio Dee Jay da Nicola Savino e Linus nel 2022 al lancio del suo singolo Importante, quando in molti di aspettavano una data al san Siro, sulla scia di Salmo. E invece no.

 

Non solo Milano…

Chi lo avrebbe mai detto che Napoli negli ultimi anni si sarebbe resa protagonista di ‘sì tanti eventi di impatto mediatico? Forse pochissimi. Marra rappresenta Milano, eppure ha deciso di inglobare anche Napoli in questa grande storia. Forse merito di una scena sempre più in fermento, che negli ultimi anni ha dato vita a fenomeni quali Geolier (sicuramente quello più in vista), la Slf, Nicola Siciliano, Capo Plaza e via discorrendo. Milano, la capitale del Nord, e Napoli, la capitale del Sud, ognuna con le sue sorprese e le sue specialità.

Napoli del resto, come ha detto anche Lazza durante la sua esibizione dell’ippodromo di Agnano, si è lasciato sfuggire la sua considerazione sulla città di Napoli, definendola come più “ammuinista” di tutte le altre città (testuali parole: “un puttanaio”).

 

Gli ospiti dei due eventi.

Gli ospiti dei due eventi sono stati: Guè Pequeno (presente in tutti e due gli spettacoli con un set dedicato a Santeria, disco che ha innalzato e valorizzato la penna di Marra nel 2016), Fabri Fibra, Salmo, Kid Yugi, Anna, Paky, Young Miles e Shiva (tutti alla prima data di Milano), Lazza, Madame, Geolier, Nayt ed Ernia (questi ultimi alla data napoletana). Gli ospiti non annunciati, invece, sono stati Madame, Blanca, Tedua (quest’ultimo con uno spettacolo di venti minuti incentrato su La divina commedia, ultima fatica dimostratasi un successone), Lazza, Artie 5ive, e ancora Mv Killa, Tananai, Mahmood, Noyz Narcos…

Noyz nella fattispecie si è reso protagonista, con Salmo e lo stesso Marra, di un’anteprima divenuta subito virale di un pezzo (dal titolo presunto titolo Respira) inedito. Non è ancora ben chiaro se si tratterà del tanto vociferato disco di coppia Salmo-Noyz o di un nuovo ipotetico album di Marracash, che potrebbe ritornare ad un tipo di rap duro e crudo dopo il concludersi della parentesi intimista di Persona e Noi, loro, gli altri.

 

Un piccolo grande problema: il playback.

Su tutte le esibizioni viste, si potrebbe muovere solo una piccola grande critica, che non sono né le stonature, né l’autotune, ma il playback, a tratti eccessivo e spudorato.

Specie nella prima tappa di Milano, si è sentita una grossa differenza tra le esibizioni di nomi come Kid Yugi e Paky (esibitisi con un urlo continuo sulla canzone che andava ed andava sotto con tanto di voce pre-registrata) e quelle di nomi sicuramente più navigati, come Fabri Fibra e Salmo, quest’ultimo resosi maestro di una vera e propria lezione di esibizione, in grado di passare dal rap alla musica house, rappando, cantando, saltanti e coinvolgendo il pubblico dal primo minuto fino all’ultimo. Un Salmo più in forma che mai, in ripresa dal periodo di pausa che si è preso nel mese di Agosto, quando si è visto costretto a rivedere l’organizzazione del suo tour.

Le esibizioni di questi ragazzi ci fanno comprendere quanto lavoro ci sia dietro il live, e quanto bisogni impegnarsi per riuscire nell’intento di saper intrattenere il pubblico cantando di propria gola le canzoni, e non limitarsi a fare degli speaker di sé stessi, in maniera peraltro anche abbastanza scadente e deludente.

Proprio Salmo, durante questa Estate, si era espresso sulla questione live sollevata dal magazine di Dikele, scandoglisi contro portando le sue idee che vertevano a far comprendere al pubblico da casa quanto sia importante la dimensione dei live.

 

La scelta della scaletta.

Marra dal vivo in circa due ore e mezza di show ha portato sul palco tutta la sua discografia, dagli inizi fino a Noi, loro, gli altri, cantando anche brani che non erano stati portati sul palco nel tour dello scorso anno. Lo show è stato a dir poco equilibrato, pieno zeppo di hit, alcune delle quali rivisitate/riprodotte/riarrangiate, come nel caso di Niente canzoni d’amore (originariamente prodotta da Del e qui prodotta da Marz). Marra ha tenuto fede alla “promessa” di ripercorrere punto per punto la sua carriera, portando sul palco pezzi come Badabum cha cha, Sabbie mobili, Catatonica, Body parts – i denti e Pagliaccio, e spingendosi ancora più indietro a brani come Popolare e Nuovo papa, questi ultimi rivitalizzati nel 2018 nella riedizione di Marracash, primi disco ufficiale di Marra di dieci anni prima.

La scelta di ripercorrere in tale maniera la sua carriera ha svolto anche la funzione di mettere quasi letteralmente al centro dello show, e dell’attenzione, il disco di Santeria. E’ dal 2020/2021, infatti, che in tanti vogliono Guè e Marra al lavoro su un secondo capitolo di quel disco, che oggi pare essere stato riscoperto anche dai più giovani grazie alla canzone Insta lova, zompata al primo posto su Spotify a sette anni dal suo rilascio. I due artisti, infatti, non hanno mai escluso la possibilità di un secondo capitolo della saga, e recentemente sono anche stati a Marrakech in viaggio, similmente a quanto fatto nel 2016 per realizzare Santeria 1, quando i due viaggiarono molto tra l’America Latina e la Spagna.

 

Un festival rap.

Finalmente possiamo dire di aver avuto in Italia un vero e proprio festival rap. Certo, declinato nelle sue varie sfaccettature. Dalla poesia di Tedua, quella di Madame, il rap più malandrino di Paky, quello più disimpegnato e “teen” di Anna Pepe. Un po’ per tutti i gusti, diciamo. E questo ha fatto capire, come detto di sopra, ai tanti che ancora lo vogliono ignorare, che il rap ha un suo grandissimo seguito. Ha *ancora* un suo grandissimo seguito, e che certamente non è solo un genere “di moda” come spesso si dice ogni qualvolta che esplode un fenomeno nuovo.

Non esistono scusanti che reggano. I due esempi più eclatanti sono stati portati proprio su quei due prestigiosissimi palchi. Stiamo parlando di due brani, guardacaso, proprio della coppia più richiesta e acclamata: Marra & Guè. Due esempi molto differenti: uno Insta lova, salito alle luci della fama grazie a Tik Tok (“dovremmo rifare Tik Tok lova”, hanno ironizzato i due sul palco), e l’altro è Brivido. Il primo un singolo estivo contenuto proprio in Santeria, e il secondo un evergreen di tutto rispetto risalente al giugno 2013, contenuto in Bravo ragazzo di Guè. Un’era geologica, se si considera la rapidità con cui cambiano le mode e i trend, che è andata via via aumentando con l’era Instagram e ancor di più con Tik Tok. Brivido, questo ci tengono a sottolinearlo, è da dieci anni nelle classifiche e nei cuori degli ascoltatori. E falla ‘na hit ogni tanto…

 

Nessun ospite internazionale.

Una caratteristica di Marrageddon è stata anche quella di aver dato spazio a soli rapper italiani, e non coinvolgere minimamente artisti internazionali, fossero anche altri rapper europei. La decisione, tuttavia, non sorprende i fan di Marracash, in quanto da sempre Marra non vede di buon occhio le collaborazioni internazionali, ritenendole spesso frivole. Difficile poter affrontare determinate tematiche in brani in cui si collabora tra artisti e si appartiene a due nazioni diverse.

Lo stesso Marra non ha mai collaborato nella sua vita con artisti stranieri, guardando sempre alla musica italiana, che si tratti di collaborazioni rap, pop o di altri generi musicali.

Certo non è una prerogativa inserire nella line-up di un festival anche artisti stranieri, sebbene siano tantissimi i festival che lo facciano. Senza spostarci troppo, in Albania Noizy ha realizzato l’Alphashow, con ospiti provenienti un po’ tutta Europa quali Dutchavelli, Varrosi, Dhurata Dora, e han partecipato anche tre rapper italiani, Guè Ghali e Sfera.

 

La diretta su Twitch di Homyatol e Simone Panetti.

Si deve infine menzionare anche la diretta Twitch realizzata sia per il concerto di Milano che per quello a Napoli, che ha incoronato il Marrageddon come uno degli show più seguiti a livello europeo. Un successone clamoroso, insomma, per un rapper italiano. La diretta è stata portata magistralmente avanti da Simone Panetti e Homyatol, già rinomati nel settore, belli sgamati, che han saputo gestire una situazione in cui si doveva andare molto a braccio, non avendo una scaletta già scritta e definita. Lo studio da cui stavano effettuando la diretta infatti era un camerino lontano dal palco, e di conseguenza c’era la complicazione di dover rimanere aggiornati su ciò che succedeva sul palco.

L’unica nota dolente è che durante la diretta sono stati tenuti fuori i primi minuti di spettacolo, ossia l’open-show di Michele Wad, e la battaglia di scratch di Dj Zak e Dj Tayone per festeggiare i 50 anni dell’hip-hop.

Certo è che la diretta Twitch ha dato modo ai tanti che avrebbero voluto ma non han potuto partecipare di poter godere ugualmente di uno spettacolo maestoso, imponente ed inedito per il rap italiano che fino a un mese fa non c’era.

Homyatol e Panetti hanno anche ricevuto in studio ospiti come Ensi, Nerone e Nello Taver.

 

Queste sono solo alcune considerazioni che si possono fare in merito al Marrageddon di Marracash del 23 e del 30 settembre. Voi cosa ne pensate del festival organizzato dal king del rap? Sperate in un secondo festival l’anno prossimo? Parliamone nei commenti.