mercoledì 27 dicembre 2023

Qualcuno ha capito "P.E.S." Dei Club Dogo?

 














Ci sono brani che, per quanto banali, frivoli, spensierati, necessitano comunque di una certa comprensione, in quanto nel loro essere sempliciotte, contengono più chiavi di lettura e più livelli interpretativi.

Uno di questi può essere P.E.S. Dei Club Dogo, la loro hit del 2012, divenuta una canzone destinata a “mainstreamizzare” il trio milanese, e che al contempo ha attirato a sé parecchio hating per le sonorità decisamente più catchy e che strizzano parecchio l’occhio ai suoni nazionalpopolari. Eppure, se ci si sofferma a leggere bene il testo, gli argomenti erano, per la discografia dell’epoca, tutt’altro che “puliti” e “nazionalpopolari”.

 

Alcuni passaggi del testo.

Per poter spiegare il perché delle righe precedenti, bisogna partire proprio dal testo, fortemente criticato per la sua vuotezza.

Già il ritornello potrebbe parlare da solo: “sto lontano dallo stress / fumo un po’ e dopo gioco a P.E.S. / pato, mexes, Messi, valdez / fumo un po’ e dopo gioco a P.E.S. / accendo e dico oh yes / fumo un po’ e dopo gioco a P.E.S. / se mi riprendo oh-oh-oh yes / fumo un po’ e dopo gioco a P.E.S.”. Qui potrebbe iniziare e finire tutto: un momento di chilling e di relax passato a giocare a P.E.S. E a fumare. Sì, ma a fumare cosa?

A togliere ogni dubbio (ma solo a chi sa leggere tra le righe) ci pensano Jake e Gué nelle loro strofe, i quali, oltre a citare calciatori noti, quali Neymar, e console e videogiochi calcistici, quali PlayStation e X-Box, compiono giochi di parole e riferimenti camuffati al mondo delle droghe.

“Oggi voglio stare sul divano collassato” è l’incipit della strofa di Jake, che prosegue con “crossami la palla che rovescio”, facendo un parallelismo tra il pallone da calcio e la pallina di hashish. Anche la rovesciata prosegue con questo double entendre: se da un lato la rovesciata indica la famosa skill calcistica, dall’altro la rovesciata potrebbe: 1. Essere un modo per dire di essersi stonato dopo aver fumato troppo; 2. Essere un riferimento all’atto di rollare e chiudere uno spinello.

La menzione più diretta alla marijuana arriva alla metà della prima strofa, quando Jake rappa “tanto qui c’è birra e weeda, l’antidolorifico per la / partita”. Questa correlazione tra droghe e partite di calcio fu Jake stesso ad averla già fatta in Ragazzi fuori: “tutti come calciatori infortunati / escono in barella, tutti anestetizzati”, contenente il riferimento al fatto che alcune sostanze stupefacenti (si veda la cocaina) siano in grado di annullare la sensibilità fisica delle parti del corpo. Nel caso specifico della cocaina, ad esempio, chi la assume sniffandola perde la sensibilità della faccia.

Anche nella strofa di Gué son presenti riferimenti al mondo “4:20”: “slego il polso, occhio rosso, passo”, in cui ancora una volta il passaggio non è il passaggio della palla sul campo da calcio, ma anche quello di uno spinello da una persona ad un’altra.

 

Club Dogo: dalla gente per la gente.

In tanti furono ad accusare i Dogo di essersi venduti ed imborghesiti proprio dopo il successo del 2012 di P.E.S.. Eppure, P.E.S. Stessa, per quanto hit radiofonica e nazionalpopolare, aveva al centro un tema che riguardasse la gente comune: il chilling davanti alla PlayStation (o, come visto in queste righe, un momento in cui ci si rilassa consumando erba).

Anche durante il periodo promozionale di Noi siamo il Club, il trio, parlando del loro singolo di punta, commentava dicendo: “si tratta di una cosa che fanno molti ragazzi, e talvolta anche ragazze”, senza mai fare specifica e diretta allusione ad alcunché, quasi a voler celare il (praticamente palese) doppio senso del brano, al di là del videogioco riportato anche nel titolo.

Nella prima metà della strofa di Gué, a proposito di gente comune, è proprio a questi ultimi che rivolge un pensiero: “la g, la u, la è nel posto, senti come suona / dedicato a chi ha il diploma eppure non lavora / dedicato ai miei fratelli coi lavori strani / tipo che iniziano la sera fino all’indomani / per comprare nuove Nike e giochi della play”. “Dalla gente per la gente”, rappavano nel 2010, e nel 2012 le cose non potevano certo essere diverse. Ed è forse per questo che la riuscita di P.E.S. È stata così dirompente, in quanto semplice per il grande pubblico e senza particolari sovrastrutture, unite naturalmente ad un ritornello ed una melodia entrambe catchy.

 

Maria Giovanna.

Come già detto a inizio articolo, P.E.S. Nasconde nel suo sottotesto un continuo riferimento all’arcinota “Maria Giovanna” a cui in tanti e in tante epoche han dedicato canzoni, spesso camuffandone il nome.

Dalla Maria degli Articolo 31 fino alla Maria Salvador di J-Ax, citando ancora La mia signorina di Neffa, per arrivare fino alla più recente Bruno di Quentin40, in cui a essere il protagonista è il fumo, ovvero la controparte maschile, ma ben mascherato comunque dietro falso nome (o dietro nome gergale). Tra tutte, forse P.E.S. È quella meno esplicita, sebbene di riferimenti alla marijuana ce ne siano tante, come si è visto.

Voi ve ne eravate accorti di tutti questi riferimenti?

domenica 24 dicembre 2023

“Mary”: le nostre memorie.

Le memorie di Pietro.

Primavera 2022. Ero in Toscana da mia sorella, e mentre guardavamo la tv uscirono in televisione i Gemelli Diversi. Proprio parlando con mia sorella, lei mi confessò essere uno dei suoi gruppi preferiti durante la sua adolescenza, e ciò mi scaldò molto il cuore. I Gemelli riportano alla mente i momenti di vita passati nella nostra amata Trieste.

Quando il giorno del mio compleanno dello stesso anno mi ritrovai ad assistere al Coca-Cola Summer festival, vidi anche l’esibizione dei Gemelli Diversi, dove cantarono alcune canzoni del loro repertorio degne di nota. Sebbene non ci prestai molta attenzione preso dal cazzeggio coi miei amici, solo in un secondo momento mi imbattei, in seguito ad una ricerca, in Mary. La canzone mi colpì subito, mi piacque e mi commosse al contempo, per via della tematica, quella di una ragazzina abusata sessualmente dal padre. Nelle rime trasuda il bisogno di sfogarsi e di restituire all’ascoltatore uno spaccato di vita di quelli che (purtroppo) si verificano nella nostra società.

Pertanto potrei dire che, se da una parte i Gemelli Diversi rappresentano la gioia e la spensieratezza dell’infanzia triestina, dall’altra, con questa canzone, la mia preferita loro, han rappresentato l’adolescenza di tanti giovani sporcati e privati della loro purezza per mano di un mostro, che talvolta si cela dietro la maschera di un familiare.

 

Le memorie di Amedeo.

Quando nel 2010/2011 stavo scoprendo il rap dal primo computer della mia cameretta, mi imbattei, tra gli altri, anche nei Gemelli Diversi, che iniziai a seguire proprio da all’epoca. Il loro primo disco che comprai fu Senza fine – 98-09 (the greatest hits). Mentre la tracklist scorreva, partì Mary, che mi colpì per la crudezza delle scene che gli artisti rappresentavano in rima.

Dopo aver suonato con Pietro in questa sorta di Carpool karaoke dei poveri prima Risiko e poi il mashup tra Nessuno e Down by the river, ci venne spontaneo puntare su questa canzone dei Gemelli Diversi: Mary, per l’appunto, a cui entrambi abbiamo legato ricordi di vita diversi, ma ugualmente intensi, entrambi relativi alla nostra infanzia ed adolescenza. La proposta venne da Pietro, ma la appoggiai da subito di buon grado anche io. E questo è il risultato finale, frutto di un’ora di cazzeggio, di risate, di flop e di gaffe una dopo l’altra durante la registrazione del video.

“Mary” dei Gemelli Diversi non è una canzone realizzata a tavolino.

Chi dice che i Gemelli Diversi sono / sono stati un gruppo musicale pop leggero, forse di loro non ha capito poi molto. Per quanto possano essere diventati un gruppo riconosciuto a livello nazionale, i temi che trattavano rimanevano temi alquanto scottanti, spinosi.

Un esempio palese è la canzone Mary, in cui gli artisti narrano di un caso di violenza sessuale commessa da un padre ai danni della figlia, la quale si mette in fuga, correndo lontano dalla sua vecchia vita, in cerca di una rinascita.

Se Thema nella prima strofa inizia a parlare degli “abusi osceni del padre”, Grido nella seconda, dopo un bridge di Strano che trasuda di speranza, narra della nuova vita di Mary, con un marito ed una bambina che ama e che le han ridato vita, aiutandola a lasciarsi alle spalle certi demoni asfissianti.

Durante l’intervista fatta da Grido nel 2022 con Rebel Mag, Grido ha anche parlato di Mary, spiegando di quanto desse fastidio, sia a lui, sia a THG (così come a tutto il gruppo) la critica di chi sosteneva che quella iconica canzone fosse una canzone costruita a tavolino. A detta di Grido si trattò anche della goccia che fece traboccare il vaso durante il periodo del dissing tra i Gemelli Diversi e Fabri Fibra, in quanto anche quest’ultimo sparò a zero su Mary.

martedì 19 dicembre 2023

John Gotti nelle canzoni rap.

Era il 16 Dicembre 1985 quando a New York, mentre uscivano da un ristorante, vengono assassinati i capi mafia Paul Castellano e Thomas Bilotti. Un omicidio che rese, in un batter d’occhio, John Gotti, organizzatore dell’assassinio, capo della potente famiglia Gambino.
Se John Gotti non è un nome per voi nuovo forse è anche merito di alcune canzoni che hanno menzionato questo nome, non ultima 1984 di Salmo (“capo come John Gotti, sveglio tutte le notti”), fino ad arrivare a nomi di tutto il mondo come Shindy, come Kaaris e Ace Hood.
Raccolgo in questo post alcune tra le migliori citazioni fatte a John Gotti. Si avvisa il lettore che il post in questione non ha la minima intenzione di mitizzare una figura che ha in qualche modo influenzato la società, ma si limita a informare e a riportare curiosità e notizie ad esso relative.
Le conoscevate tutte queste citazioni?

sabato 16 dicembre 2023

Alcune considerazioni su “Museica”.

Museica: musica da museo, una crasi che forse solo uno come Caparezza avrebbe potuto concepire, che già nel 2014 certamente non era nuovo a questo tipo di giochi di parole.

Un concept-album, come tutti gli altri dischi di Caparezza pre- e post-2014 che porta con sé una caratteristica particolare: ogni canzone è ispirata ad un quadro, che diventa il centro tematico delle strofe dell’artista, che si abbandona a una scia di pensieri, racconti e considerazioni su argomenti di stampo politico, sociale, personale, musicale, artistico, ecc…, con la sua solita penna irriverente, ironica, talvolta anche geniale e al contempo comprensibile solo ad un secondo, un terzo, od un quarto ascolto (e ancor più che ascolto, si potrebbe dire lettura del testo).

 

Raccontare sé stessi raccontando terzi.

A volte si parte dalla fine, come in Elite e quindi non si può non citare una frase: “autoritratto, anche se d’autori tratto”.

Museica parte esattamente da qui, dal titolo, quanto mai esplicativo: un museo, ma messo in musica, questo poiché ciascuna delle diciannove canzoni scritte da Michele hanno avuto come musa ispiratrice quadri e opere di più artisti e più epoche storiche.

Cover ne è un chiaro esempio: un sunto, una narrazione della sua vita attraverso la citazione di copertine iconiche della discografia italiana e mondiale, sebbene nel pezzo si nasconda anche un significato che riguarda la società tutta, che fa sì bene ad aspirare a diventare come i modelli che si vedono e si sentono in radio o in televisione, ma facendo anche bene attenzione a tendere ad essere differenti.

Ecco quindi che Caparezza si muove in lungo e in largo nel mondo dell’arte per raccontare sé stesso agli ascoltatori.

 

Non per tutti.

Ogni volta che esce un disco che fa flop, è puntuale una giustificazione: “non era per tutti”, o “non è stato capito”, che un po’ si rassomigliano.

Il disco in questione Caparezza lo aveva già bollato come “diverso” già dalle prime canzoni del disco, quasi come a voler mettere le mani avanti e pararsi anche dalle critiche che sarebbero potute arrivare da alcuni suoi ascoltatori. Si segnali, per esempio, che anche tra i suoi fan, nonostante la più che solida fan-base di cui può vantarsi Caparezza, c’è chi ha gradito poco il cambio di tematiche pre-Museica e post-Museica, che potrebbe rappresentare una sorta di spartiacque. Se prima di Museica, infatti, la penna di Caparezza era più incentrata su argomenti politici e sociali, da dopo Museica (ovvero coi dischi Prisoner 709 ed Exuvia) c’è stato un lento e graduale passaggio ad una scrittura più intimista, dettata forse anche dalle sue condizioni di salute in seguito alla diagnosi dell’acufene, di cui parlava già nel 2014, ma divenuta ufficiale solo un anno dopo, quando la problematica è diventata ‘sì tanto fastidiosa da avergli finanche stravolto il quotidiano vivere.

Museica quindi possiamo davvero dire che non sia per tutte le orecchie, in quanto il rischio di “imputtanarsi” è alto, per citare capa, e alto è anche il rischio di passare per paraculo.

La verità è che volenti o nolenti si tratta di un concept album (come tutti gli altri dischi suoi) dall’alto tasso di ricerca, non tanto (e non solo) musicale, quanto più ricerca e approfondimento nel campo artistico: conoscere quadri ed autori, epoche storiche e contesti geopolitici passati e presenti, da usare per giocarci a proprio piacimento.

 

Una riflessione su Van Gogh, una su Filippo Argenti: Troppo politico.

Troppo politico è una canzone in cui il capa risponde alla critica di chi dice di vederlo troppo esposto e troppo schierato politicamente parlando. Cos’è la politica? Cosa può essere definito “politica”? Senza dubbio, ogni azione che ciascuno di noi compie nel proprio piccolo può essere definita politica: è politica decidere di donare o non donare il sangue, è politica intervenire in una rissa o lasciar correre, e via discorrendo. E’ tutto politica in quanto la politica, almeno nella sua forma più pura, si fonde su una solida base di ideologie, pensieri e sensibilità per ciò che ci circonda.

La parola “sensibilità” è forse quella che si può addire a Caparezza più che a tantissimi suoi colleghi, e ne dà ampia prova in un brano in particolare: Mica Van Gogh.

Van Gogh non ha certo bisogno di presentazioni come artista, ma per Caparezza, ha sicuramente bisogno di una redenzione dal soprannome di “artista pazzo” che probabilmente neanche si merita, ma che prepotentemente gli hanno appioppato, per via delle folle azioni compiute in vita a causa delle sue condizioni di salute psicologica.

Se l’opinione pubblica lo considera un artista “pazzo”, Caparezza offre una contro-immagine di una persona che al di là delle sue problematiche ha dimostrato nei suoi scritti, nelle testimonianze e nei suoi comportamenti di avere una grande sensibilità.

Una decisione “politica” quella di redimere Van Gogh, così come quella di trattare di un personaggio inusuale della Firenze medievale come Filippo Argenti.

Del resto, è troppo comodo parlare del poeta vate per eccellenza: piuttosto, per dar vita alla propria originalità e ad una bella riflessione sulla violenza Filippo Argenti è di sicuro la personalità più indicata.

Contemporaneo di Dante, suo vicino di casa, ma avvezzo alla violenza e anche quella fisica, tanto da avere avuto vari problemi giudiziari proprio a causa di ciò. Il testo di Argenti vive Caparezza lo ha scritto proprio calandosi nei panni dell’Argenti, intento a scrivere una lettera “a cuore aperto” in cui mostra come la violenza sia l’unica arma che consente di perseguire un proprio scopo e di scuotere la realtà circostante generando un cambiamento.

Già dal titolo si nota un gioco di parole col detto “argento vivo”, che designa una persona vivace, irrequieta, agitata, e nell’intro cita ancha la “commedia” dantesca, in cui narra dell’incontro tra Dante, Virgilio e Filippo Argenti nel canto VIII, precisamente nel V cerchio dell’Inferno tra gli iracondi.

Politico, come è politica Avrai ragione tu (ritratto), in cui ironicamente si scusa per le sue rime “troppo politiche” in cui mira il bersaglio e spara senza lasciar sopravvissuti a terra. A dettargli legge sono i bolscevichi che ha nella testa, e che gli impongono persino d chiedere scusa ai leghisti (“magari chiedo scusa ai leghisti, magari / scrivo a caratteri cubitali / voglio la Padania libera, via dall’Europa / per il gusto di chiamarvi extracomunitari”).

 

Un’audioguida per i capamuseo.

In quanti avrebbero potuto concepire un concept album come quello di Museica alzino la mano: quasi tutte mani abbassate, su questo ci sarebbe da scommetterci.

Perché se il disco che si ascolta è il museo, la voce di Caparezza è la voce guida di questo capamuseo, che prende per mano gli ascoltatori per portarli a farsi un giro nel mondo intriso d’arte.

Un disco talmente intriso d’arte che anche la copertina è una vera e propria opera, un quadro, realizzato dal pittore Domenico Dell’Osso, e riadattato a copertina dell’album.

L’audioguida spazia, tenendo l’ascoltatore sempre attivo e ricettivo, anche a costo di fargli ri-ascoltare di volta in volta alcuni passaggi al fine di cogliere quante più sfumature possibili, come si fa con i quadi, in cui le pennellate si sovrappongono più e più volte per ridare all’occhio il giusto equilibrio di colori.

 

Le opere ispiratrici.

Di seguito troverete per ciascuna canzone del disco l’opera artista che l’ha ispirata.

Avrai ragione tu (ritratto): ispirata da My God, help me to survive this deadly love di Dmitri Vrubel (1979).

Mica Van Gogh: ispirata da Natura morta con bibbia di Vincent Van Gogh (1885).

Non me lo posso permettere: ispirata da Tre studi di Lucian Freud di Francis Bacon (1969).

Figli d’arte: ispirata da Saturno che divora i suoi figli di Francisco Goya (1821-1823).

Comunque dada: ispirata da L.H.O.O.Q. Di Marcel Duchamp (1919).

Giotto beat: ispirata da Corretti di Giotto (1306 circa).

Cover: ispirata dalla cover di The Velvet Underground & Nico disegnata da Andy Warhol (1967).

China town: ispirata da Quadrato nero di Kazimir Severinovič Malevič (1915).

Canzone a metà: ispirata da Il sogno di Dickens di Robert William Buss (1870).

Teste di modì: ispirata da Ritratto di Jeanne Hébuterne di Amedeo Modigliani (1918).

Argenti vive: ispirata da Virgilio respinge Argenti nel fiume Stige di Gustave Doré.

Compro horror: ispirata da Concetto spaziale, attese di Lucio Fontana (1965).

Kitaro: ispirata da gege no kitaro, anime e manga creato da Shigeru Mizuki (1959-1969).

Troppo politico: ispirata da Il quartto stato di Giuseppe Pellizza Da Volpedo (1898-1901).

Sfogati: ispirata da Testa di tigre di Antonio Ligabue (1940).

Fai da tela: ispirata da Il cervo ferito di Frida Kahlo (1946).

È tardi: ispirata da La persistenza della memoria di Salvador Dalí (1931).

È chiaro dunque come l’arte in ogni sua forma abbia influito sull’intera realizzazione del disco, dalle opere più datate a quelle più moderne (in percentuale superiore). Ciascuno dei quadri ha dato modo a Caparezza di muovere delle considerazioni.

 

Le tematiche.

Potremmo sintetizzare il tema di ciascuna canzone come segue.

Canzone all’entrata e Canzone all’uscita sono brani realizzati da Caparezza per salutare l’ascoltatore sia all’inizio che alla fine dell’ascolto del disco, in maniera tale da consentire al visitatore del capa-museo di ritornare successivamente per un nuovo ascolto.

In Avrai ragione tu (ritratto) Caparezza compie un ironico “mea culpa” nei confronti dei bersagli politici che ha preso di mira in tutti i suoi dischi, prendendo di petto anche il luogo comune che vuole tutti gli intellettuali dei “comunisti”.

A dispetto del titolo, la politica è pressoché assente in Troppo politico. O meglio: nel brano in questione compie una serie di giochi di parole e doppi sensi che possano rimandare al mondo della politica, ma a differenza di altri brani quali Non siete stato voi, giusto per fare un esempio, in Troppo politico non prende il tema della politica come cardine del testo, quanto più le forti critiche mossegli dai suoi detrattori, che lo vorrebbero “meno impegnato e meno esposto politicamente”.

Mica Van Gogh e Argenti vive sono i due brani in cui si mette nei panni rispettivamente di uno strenuo difensore del pittore olandese e nei panni di Filippo Argenti. Storie e periodi storici differenti (Argenti vissuto nel medioevo, contemporaneo di Dante, e Van Gogh vissuto nell’’800), ma che rimandano all’ascoltatore un quadro chiaro e ben definito delle sue considerazioni sia su Van Gogh, sia sul ruolo della violenza nella società, usando Filippo Argenti come personificazione della violenza stessa, in quanto personalità ad essa votata oltre che parecchio irascibile, come descritto dalle testimonianze pervenuteci.

In Non me lo posso permettere in maniera ironica descrive la situazione economico-sociale italiana di quegli anni, in cui si stava vivendo una forte crisi economica non solo italiana, ma anche mondiale, che ha portato sul lastrico tantissime persone che han deciso di aprire un’attività, e altrettante persone che han deciso di farla finita non vedendo possibilità alternative per poter portare avanti la propria vita e quella dei propri cari.

Figli d’arte invece affronta un tema che oggigiorno possiamo vedere, per esempio, nelle numerose Instagram stories e nei post delle persone “famose” ed “influenti” che quotidianamente postano le foto con la propria famiglia e i propri figli. Proprio la vita dei figli di queste persone è il tema centrale della canzone: una vita vissuta di riflesso, all’ombra di un padre (o di una madre) poco attento ai bisogni del figlio, e più sensibile al proprio lavoro, alla gratificazione proveniente dagli sconosciuti per il mestiere che fa. Nella fattispecie, Caparezza menziona indirettamente e in maniera del tutto implicita anche il caso di John Lennon e di suo figlio Julian che, poco dopo la morte del grande cantautore dei Beatles, sostenne che il padre non fosse mai stato un buon padre. Il riferimento alle dichiarazioni di Julian sono presenti anche nel ritornello, in cui Caparezza fa riferimento ad un artista che, sebbene scriva canzoni in cui promuove pace e amore (in tal caso John Lennon è anche l’autore ed interprete della canzone per la pace per eccellenza, Imagine), in realtà nel proprio privato è una persona molto insensibile e disinteressato alla vita del proprio figlio.

Proseguendo lungo la tracklist, Comunque dada la potremmo vedere come una sorta di Azzera pace di Museica, in quanto descrive il movimento artistico dadaista inserendolo in un contesto storico-politico-sociale, mostrando l’atteggiamento anti-bellicistico degli artisti che han preso parte a tale movimento. Allo stesso modo, anche Caparezza traccia un parallelismo col suo modo di fare e col suo modo d’essere, pronto sempre a mettere in discussione tanto sé stesso quanto la realtà circostante, anche a costo di essere moralmente messi al rogo.

Il rogo viene menzionato anche in Canzone all’uscita, dove fa riferimento, tra le altre cose, alla censura feroce che il regime nazista aveva compiuto ai danni dell’arte “non allineata”, “non convenzionale”, “deviata”, in tedesco “entartete kunst”, quest’ultimo appellativo con cui hanno intitolato, gli stessi nazisti, una mostra d’arte moderna col chiaro intento di schernire, dileggiare quel tipo d’arte.

Sfogati invece parla della reazione di Caparezza alle critiche più o meno feroci che gli arrivano, e nella fattispecie alla critica superficiale che viene mossa da persone che non hanno le conoscenze adatte per poter muovere critiche di alcun tipo; anche Troppo politico, similmente a Sfogati, è una risposta a chi, invece, gli addita la “colpa” di essere troppo esposto politicamente, tra critiche alla Lega, e idee che sposano più un certo orientamento politico piuttosto che l’opposto. La verità è che, in fondo, tutto ciò che compiamo anche nel nostro piccolo può essere definibile politica, in quanto influenza sia la nostra vita, sia chi dalle nostre scelte viene influenzato.

Canzone a metà (posizionata peraltro esattamente a metà tracklist) affronta il tema del blocco e della non-terminazione di un’opera, che può avvenire per paura, per ansia, o per cause di forza maggiore. È significativo notare come a dare il là a questa canzone sia stato un quadro rimasto incompleto a causa della morte dell’autore dell’opera, Robert William Buss, prematuramente scomparso mentre stava ancora lavorando al quadro (dal titolo Il sogno di Dickens).

Teste di modì prende ispirazione da un fatto di cronaca realmente avvenuto, in cui i protagonisti furono tre ragazzi che, per puro divertimento, realizzarono delle sculture alla maniera di Modigliani, che al loro ritrovamento al Fosso Real di Livorno vennero ritenute da tanti (esperti d’arte compresi) degli originali realizzati da Modigliani stesso. Caparezza qui si prende gioco dei tanti professionisti o presunti tali che han fatto in tempo ad accaparrarsi la notizia il prima possibile, scrivendo articoli, realizzando servizi giornalistici e scrivendo libri, poco prima che i tre ragazzi (Pietro Luridiana, Pier Francesco Ferrucci e Michele Carducci, peraltro presenti anche nel videoclip della canzone) confessassero di essere stati loro gli autori delle sculture, realizzate con un banalissimo Black & Decker.

Compro horror invece ha come tema pulsante la tematica della spettacolarizzazione della morte e delle tragedie, che diventano centrali nei palinsesti televisivi di emittenti tanto pubbliche quanto private, soprattutto nei momenti subito successivi a tali avvenimenti spiacevoli. Un attaccamento morboso che anche il pubblico spettatore dimostra di avere, aumentando lo share per tali programmi, che nel frattempo fanno cassa su tali tragedie, producendo e mandando in onda filmati, girati, registrazioni e scoop, molti dei quali a dir poco stomachevoli, riguardo le vittime, i parenti delle vittime, e non di rado anche riguardo gli assassini e i criminali che hanno commesso il reato. Ultima ma non ultima la vicenda della giovane Cecchettin, che nella giornata di martedì 5 dicembre 2023 ha ricevuto i funerali di stato, mandati in onda sulla Rai: subito dopo il ritrovamento del corpo della ragazza, casa Cecchettin è stata presa d’assalto da giornalisti o presunti tali giunti sul posto con microfoni e telecamere illuminanti puntate in faccia ai familiari reduci di un dolore ‘sì grande come quello della scomparsa di una figlia e di una sorella, porgendo domande di circostanza quanto mai banali come un “come vi sentite?”, nella speranza forse di fare scoop all’ascolto della surreale risposta “stiamo festeggiando dalla gioia”.

Proseguendo sulla tracklist, troviamo Kitaro che, ispirata al mondo dell’arte, dei manga e degli anime (dunque cultura orientale), tratta il tema delicato dell’isolamento fisico e mentale che vivono parecchi giovani nel mondo. Fenomeno noto come hikikomori, che porta non di rado alla morte non solo spirituale, ma anche fisica del giovane, che non trova altra scappatoia, in fuga da un mondo dal quale si sente oppresso e che impone rigidi canoni di estetica, di vittoria, di bellezza (come se poi ce ne fossero, di canoni) di cui non tutti riescono a sopportarne il peso spirituale. In tale contesto, Kitaro, personaggio dell’anima e del manga Gegege no Kitaro, avrebbe come ruolo da svolgere quello di salvare il ragazzo hikikomori, farlo uscire dal proprio guscio, similmente a quanto fa nelle due opere sopra citate, che combatte contro gli yokai, spiriti maligni, per proteggere gli esseri umani.

Chiude poi la tracklist È tardi, subito prima di Canzone all’uscita. È tardi (che peraltro si apre con il classico annuncio che precede di qualche minuto la chiusura di un museo, o di altri luoghi non necessariamente affini) mette in fila tutta una serie di situazioni in cui Caparezza, pur sentendosi “indietro” rispetto alla società circostante, continua imperterrito senza fermarsi. Un concetto sviscerato anche in Ti fa stare bene, 2017, quando rappa: “sono tutti in gara e rallento, fino a stare fuori dal tempo / superare il concetto stesso di superamento mi fa stare bene”. E a tal proposito, sarebbe utile ricordare di come Caparezza sia sostanzialmente arrivato al successo definitivo oltre i 30 anni, dopo aver realizzato due dischi come Mikimix prima del 2000: uno standard che nel corso degli anni nella discografia italiana e internazionale si è andato abbassandosi sempre di più per quanto riguarda l’età anagrafica, se si pensa che molti suoi colleghi anche nel rap diventano famosi già praticamente in fasce, talvolta da minorenni, pur senza badare all’aspetto della longevità del prodotto che questi ultimi immettono sul mercato musicale.

 

Considerazioni finali sul disco.

Per quanto riguarda il disco in sé, le considerazioni si sprecherebbero, ma si può provare comunque a esporre un proprio pensiero in merito all’opera.

Sebbene tanti conoscano Caparezza come personaggio per via della sua caratteristica voce “in falsetto” (comunque andata via via a scomparire, soprattutto da dopo Prisoner 709) e della sua capigliatura che gli è valso questo nome d’arte, musicalmente parlando è innegabile che non sia per tutti.

A ben guardare, nonostante brani come Vieni a ballare in Puglia, Fuori dal tunnel, ma anche Non me lo posso permettere e Ti fa stare bene, siano diventate hit riconosciute a livello nazionale, il Caparezza artista quasi rifugge la sovraesposizione, e le sue liriche riflettono la sua voglia di distinguersi a tutti i costi, per creare un’alternativa anche nel suo stesso ambiente musicale (che può essere il rap, ma lo stesso discorso vale anche ingrandendo il raggio d’azione alla musica mainstream/pop). Un’alternativa che riguarda sia l’aspetto musicale, sia l’aspetto testuale.

Sebbene ci siano tali premesse, Caparezza, “commercialmente” parlando, in un modo o nell’altro la sfanga sempre. E questo lo possiamo ricollegare al fatto che la sua musica può (e qui nasce il paradosso) arrivare potenzialmente a tutti, anche se in pochi possono essere coloro che possono capirlo.

Canzone all’uscita, ci dice Caparezza, è una canzone che invita l’ascoltatore a “ritornare” a far visita al suo capa-museo, un po’ come dire “riascoltare” la stessa canzone per una seconda, terza o quarta volta e potenzialmente fino all’infinito per leggerci ad ogni nuovo ascolto una chiave di lettura in più che all’ascolto precedente non era giunto all’orecchio del fruitore. Pennellata dopo pennellata, ascolto dopo ascolto, visita dopo visita, l’ascoltatore può carpirne quante più sfumature possibili, quante più particolarità, curiosità, nozioni, immagini, doppi sensi e giochi di parole che difficilmente possono arrivare ad un ascolto superficiale, i quali spesso inducono le persone ad esprimere giudizi “en tranchant” senza concedere all’opera di arrivare dove deve veramente arrivare, magari offrendo a quest’ultima una rilettura continua.

Museica è un disco di Caparezza, e in quanto tale non necessita di voti o di giudizi in quanto troppo riduttivi del lavoro effettuato. E neanche serve sminuire la fatica (e l’artista) con i soliti commenti in croce quali “geniale”, “inarrivabile”, “insuperabile”. Si tratta di un disco che, “alla maniera di Caparezza”, può offrire tanto a chi decide di approcciarsi al progetto schiacciando play, magari spingendo le persone anche ad appassionarsi al mondo dell’arte visiva, fondamentale per la creazione del disco come abbiamo avuto modo di vedere in queste righe.

Tuttavia, se volessimo provare a sintetizzare il progetto con poche parole, potremmo descrivere Museica come un’opera d’arte che si serve dell’arte stessa per creare ancora altra arte, della quale poter dibattere e sulla quale poter sviluppare discussioni, spunti di riflessione ed opinioni. Ed in taluni casi, poter servirsi di essa per arricchire il proprio bagaglio culturale.